E’ punibile la mamma che offende un’altra mamma che partecipa nella chat di gruppo

Sentenza Corte di Cassazione n. 789/2024 del 24 gen 2024
La Suprema Corte non ha riconosciuto la particolare tenuità del fatto della condotta di una mamma che ha offeso un’altra mamma all’interno di una chat di gruppo.
I messaggi offensivi
Una delle mamme aveva pubblicato su Facebook alcune frasi con cui l’imputata aveva denigrato un’altra mamma.
Era successo che la vittima della diffamazione aveva invitato l’imputata, con messaggio sul gruppo WhatsApp delle mamme, a recuperare il proprio figlio alla festa organizzata dalla prima, in quanto il bambino risultava eccessivamente vivace.
A seguito di ciò, l’imputata aveva definito, su Facebook, l’altra madre come una persona insensibile ed indelicata, che voleva impietosire gli altri partecipanti alla chat “al fine di raggirare ed estorcere magari qualche soldo per nuove dimore o serate tra banchetti e alcool”.
La Corte d’appello di Salerno, aveva ritenuto integrato il reato di diffamazione contestato alla madre, considerata la portata chiaramente offensiva delle frasi pubblicate che facevano peraltro riferimento a fatti non veri (ovvero l’aver offeso il proprio figlio). Il Giudice escludeva altresì la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.
Avverso tale decisione l’imputata aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Corte non ha ritenuto fondato il motivo di ricorso e spiega che “non vi è dubbio che la causa di non punibilità della provocazione di cui all’art. 599, comma 2, cod. pen. sussiste non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi di un illecito codificato, ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile convivenza; tuttavia, tale lesione deve pur sempre essere apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l’agente”. “Nel caso di specie, la Corte territoriale ha escluso che alla base dell’invettiva a mezzo social, posta dalla ricorrente, vi fosse una condotta della persona offesa definibile come “ingiusta” su di un piano di valutazione oggettivo” e questo in quanto la richiesta rivolta all’imputata di contenere la condotta vivace del proprio bambino e la richiesta di portarlo via anticipatamente dalla festa dove lo stesso si trovava, non potevano ritenersi richieste ingiuste, né al contempo era stato provato che la vittima aveva in alcun modo offeso l’agente”.