Non è dovuto il mantenimento all’ex moglie che non vuole lavorare

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Non è dovuto il mantenimento all’ex moglie che non vuole lavorare

Assegno negato o ridotto se c’è attitudine al lavoro da parte della donna. Nel valutare se l’ex moglie ha diritto all’assegno di mantenimento o meno, il giudice deve tenere conto delle sue obiettive capacità di lavorare e, quindi, di mantenersi da sola. È quanto chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 789 del 13.01.201 che conferma il graduale tramonto del diritto incondizionato al mantenimento, un trend che si è timidamente affermato negli ultimi anni, ma che va acquistando sempre più spazio.

Le precedenti esperienze lavorative, la formazione, l’età giovane e l’idoneità di reimpiegarsi della donna costituiscono parametro per determinare la misura del mantenimento e, in alcuni casi, possono giustificare il completo diniego dell’assegno.

Anche in passato i giudici hanno chiarito che, se il divario fra i redditi della ex moglie e quelli percepiti dal marito, ancora in attività, non è dovuto a «oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro da parte della prima, ma solo a una sua pigrizia tendenziale, allora alcun mantenimento le è dovuto».

Inoltre, nel giudicare la sussistenza del diritto al mantenimento, il giudice deve valorizzare non solo la presenza di un reddito di lavoro, ma anche altre forme di sostentamento come, ad esempio, il percepimento di un canone di affitto mensile per un appartamento di proprietà. Circostanze queste che “sollevano” l’ex marito dal provvedere all’ex moglie che, comunque, ha di che vivere.

Con la sentenza ora citata, viene ribadita l’importanza, per la donna ancora abile al lavoro, di mantenersi da sola e trovare un modo per non pesare sulle spalle dell’ex. In tema di separazione personale dei coniugi l’attitudine al lavoro proficuo dell’ex coniuge, quale «potenziale capacità di guadagno», costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica.

La Cassazione però avverte che l’attitudine del coniuge al lavoro deve essere valutata in concreto e non sulla base di aspettative astratte e ipotetiche: si deve trattare, insomma, di una effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita.